Il progresso scientifico ha portato numerosi vantaggi al genere umano,
spesso sotto forma di beni materiali.
Una conseguenza di questo progresso è l’aumento,
in termini di quantità, di materiali
polimerici (es. fibre chimiche, materie plastiche e gomme) e di complessità dei prodotti al punto tale
che quasi tutta la tavola degli elementi trova oggi applicazione nel
quotidiano. Esemplare in questo senso è l’evoluzione
tecnologica del settore automotive, che ha permesso un costante miglioramento
nelle prestazioni e nelle condizioni di sicurezza e di confort dei veicoli. Tuttavia,
parallelamente a questo progresso si è verificato anche un aumento del costo ambientale in termini di risorse sfruttate e,
conseguentemente, di impatto climatico.
L’emergenza climatica e il ruolo del trasporto
Tra le fonti antropiche, i combustibili fossili sono quelli che
contribuiscono in maniera preponderante all’aumento di emissioni nell’ambiente,
seguiti a ruota dai trasporti. Per
contrastare le emissioni di gas climalteranti, l’industria automotive
ha intrapreso negli ultimi anni una serie di strategie volte a diminuire le
emissioni durante la fase d’uso dei
veicoli, ovvero in quella maggiormente impattante, andando ad esempio a
sostituire ferro e acciaio con
materiali più leggeri, come alluminio e
plastica.
Tuttavia, se da una parte i materiali polimerici
consentono un alleggerimento della struttura del telaio dei veicoli, dall’altra
comportano anche una serie di difficoltà
di separazione e di recupero a fine vita dei materiali a causa della
mancanza di mercati per prodotti costituiti da materie secondarie. Infatti, se
il 60% dell’alluminio – di cui il 75% appartenente al settore automotive
– è riciclabile, solo il 20% delle
plastiche (PP, PE, PVC) è riutilizzato, di cui solo il 15% nell’industria automobilistica.
Il passaggio a una mobilità elettrica
Un’altra strategia messa in atto
dall’industria automobilistica, atta a contrastare il cambiamento climatico, è la
transizione verso una mobilità
elettrica: i veicoli elettrici
permettono infatti una riduzione sensibile di più della metà delle emissioni di
CO2 per km percorsi rispetto ai mezzi convenzionali a combustione. Per tale
ragione, considerando i limiti di emissioni
per le auto stabiliti dal Regolamento dell’Unione Europea, si stima che entro il 2030 almeno il 20% del parco auto nazionale debba
essere elettrico.
Se dunque oggi il passaggio
alla mobilità elettrica è guidato dall’emergenza climatica,
domani potrebbe essere legato anche a un fattore di convenienza economica, a fronte di una progressiva e attesa riduzione dei costi di prezzi di mercato
delle batterie di nuova generazione, come ad esempio quelle agli ioni di
litio.
Tuttavia, il limite alla transazione all’elettrico è rappresentato, a monte
della catena, dalla scarsa disponibilità delle risorse e dall’approvvigionamento delle materie prime cosiddette
critiche, necessarie per questo
tipo di tecnologia. Di conseguenza, la domanda che il settore si sta ponendo
attualmente non è più se avverrà il passaggio a questo tipo di mobilità, ma
fino a che punto potrà spingersi questa transizione.
Materiali critici nel settore automotive
La criticità delle materie prime è un aspetto di grande attualità e
diversi indicatori sono stati proposti in letteratura. Ad esempio, la Comunità Europea
classifica le problematiche per il reperimento dei materiali sulla base di due indicatori: il primo è l’importanza economica, ovvero quanto
questi materiali sono presenti nella nostra società e in quali settori chiave;
il secondo, invece, è rappresentato dal rischio
di approvvigionamento relativo ai materiali considerati critici:
- litio, cobalto, graffite naturale: sono gli elementi
essenziali nella produzione delle batterie al litio e dunque nella mobilità
elettrica;
- indio: materiale depositato sugli schermi LCD dei prodotti di
elettronica e dunque anche incorporati nel settore dei trasporti;
- terre rare: rappresentano un gruppo di materiali che hanno delle
proprietà ottiche e magnetiche uniche ma che costituiscono anche gli elementi
più critici esistenti. Esempi di terre rare sono il neodimio e il disprosi,
impiegati nella produzione di motori elettrici ma anche degli hard disk inglobati
nei prodotti di elettronica o nella produzione di energia eolica.
I fattori di criticità e di rischio di approvvigionamento possono
essere legati a:
- Scarsità geologica: le risorse di indio sulla Terra sono scarse e difficilmente reperibili;
- Capacità estrattiva limitata: la crisi del settore estrattivo del litio e del cobalto ha determinato un aumento dei prezzi più che triplicato di
questi materiali;
- Instabilità geopolitica: le miniere naturali di cobalto situate nella Repubblica
Democratica del Congo sono presenti in aree caratterizzate da forti instabilità
politiche;
- Produzione interconnessa;
- Mancanza di alternative;
- Situazioni di monopolio: la produzione mondiale di terre rare coincide di fatto con la
produzione cinese e questa situazione di
monopolio pone gli altri Paesi – compresa l’Europa – in una condizione di potenziale
vulnerabilità nel caso di interruzioni nella supply chain.
A queste problematiche geologiche
e geopolitiche, si aggiungono anche quelle ambientali.
Le difficoltà di approvvigionamento da
fonti naturali determinano spesso consumi
energetici particolarmente intensivi per le risorse critiche: per estrarre
e raffinare il neodimio e l’indio ci vogliono circa 50/70 volte i consumi dell’energia
richiesta per le stesse quantità di ferro o di alluminio.
Lo stesso si può dire anche per
le emissioni di CO2, il consumo idrico e il rifiuto minerario necessari per poter sfruttare queste risorse: ad
esempio, un chilo di ferro metallico determina la produzione di circa 10 chili
di scarto minerario; lo stesso chilo di neodimio o di indio determina circa 10
mila chili di residui. Tali dati forniscono una misura dell’insostenibilità ambientale associata all’approvvigionamento di
queste risorse critiche.
Il rifiuto minerario necessita successivamente di essere trattato, con
una conseguente alterazione, nel migliore dei casi, del paesaggio naturale fino
ad arrivare a un estremo, ovvero alla distruzione degli ecosistemi o alla
possibile creazione di pericoli per l’ambiente e per l’uomo. Ad esempio, parte
dei rifiuti minerari si presenta sotto forma di fanghi che vengono accumulati
in vere e proprie dighe: nel 2019, in Brasile una di queste dighe ha ceduto e
ha riversato milioni di metri cubi di fanghi,
raggiungendo centri abitati con conseguenze disastrose.
A tal problema si aggiungono anche dinamiche sociali ed etiche, aspetto
molto spesso tralasciato o considerato come secondario rispetto alla
sostenibilità economica e ambientale.
Verso la chiusura dei flussi?
In un contesto di questo tipo,
una chiusura dei flussi di materia attraverso
il recupero e il riciclo a fine vita costituisce lo strumento attraverso
cui possiamo ridurre la nostra
dipendenza dalle fonti naturali con un conseguente abbattimento delle
problematiche associate. Tuttavia, il riciclo a fine vita è spesso carente – se
non inesistente – per molte delle risorse critiche. Ad esempio nel caso del neodimio, più del 50% è impiegato nel
settore dell’automotive, sia nelle auto convenzionali sia nelle auto
elettriche: si stima che circa 9 mila
tonnellate di neodimio siano contenute nelle auto attualmente in uso in
Europa, pari a circa 13 volte la
domanda annuale nella Comunità Europea. Tuttavia, il contenuto medio di
neodimio è pari a 27 ÷ 200 g Nd/auto,
ovvero < 0.02% in peso dell’auto.
La gestione dei veicoli a fine vita (end-of-life vehicles, ELV)
L’attuale gestione delle auto a fine
vita è dettata dai target di riuso e
riciclo energetico stabiliti dalla Comunità Europea ed espressi proprio in
termini di peso in percentuale dei veicoli a fine vita (end
of life vehicles, ELV). La
direttiva dei veicoli a fine vita stabilisce che l’85% del peso degli ELV debba essere riusato e riciclato a cui si
aggiunge un 10% derivante dal
recupero energetico per un 95%
complessivo di riuso, riciclo e recupero. L’adempimento a questi target avviene
attraverso lo smontaggio di parti ancora
commercializzabili e principalmente attraverso il recupero della frazione metallica ferrosa dopo la frantumazione. La filiera dei trattamenti a cui
sono sottoposti gli ELV consiste in:
- Pre-trattamento:
drenaggio dei liquidi e rimozione delle componenti pericolose;
- Demolizione:
smontaggio delle parti ancora commercializzabili;
- Rottamazione:
compressione a “cubi/pacchi” di carrozzeria;
- Frantumazione:
triturazione e recupero della frazione metallica ferrosa e non ferrosa.
Analizzando le efficienze e le
prestazioni a livello europeo, l’Europa raggiunge e supera il target di riuso e
riciclo per gli ELV, ma si avvicina e non raggiunge in realtà il livello di
riuso, riciclo e recupero energetico. Tale dato è legato probabilmente anche
alla scarsa prestazione nazionale italiana: l’Italia, infatti è al 25esimo
posto nella classifica dei Paesi europei.
Il car fluff: problematiche attuali e future
Il rifiuto che rimane dalla gestione a fine vita delle auto è denominato
car
fluff. Il car fluff è classificato
come “rifiuto speciale, assimilabile agli
urbani o ai rifiuti speciali pericolosi dopo opportuna analisi che ne attesti
il rispetto dei limiti normativi” proprio perché rappresenta un accumulo nocivo di plastiche, gomme, materiali
tessili, inerti, metalli critici e inquinanti adsorbiti.
Il Italia, il car fluff è
prevalentemente smaltito in discarica, nonostante il divieto
previsto per rifiuti con potere
calorifico > 13 MJ/kg. Inoltre, l’incremento delle plastiche delle gomme
andrà inevitabilmente ad aumentare questa frazione del car cluff, ponendo dubbi sulla possibilità non solo di migliorare
ma anche di riuscire a mantenere il target di riuso e riciclo energetico.
Come possiamo intervenire?
Approvvigionamento
Gli strumenti su cui si può puntare per migliorare l’accesso alle
risorse essenziali possono essere:
- Legislativi: target di riuso, recupero e riciclo per singolo
materiale e non più per peso di veicolo;
- Tecnico-scientifici: ricerca e sviluppo di tecnologie di produzione/recupero
di materia ed energia;
- Economici: incentivi, Responsabilità Estesa del Produttore.
Emerge una necessità di agire in fase di progettazione,
predisponendo una facilità di smontaggio e di recupero a fine vita fin dalla
fase di design e di progettazione dell’auto, possibilmente includendo criteri
di sostenibilità ambientale e di “criticità” nella scelta dei materiali.
Riduzione della domanda
L’altro fronte su cui si può
intervenire è nella riduzione della
domanda. I materiali critici sono essenziali in molte delle applicazioni
contemporanee – trasporti, generazione di energia rinnovabile, batterie a
litio, robotica, elettronica, ecc. – e le proiezioni stimano un aumento esponenziale
della domanda per elementi come il litio, cobalto e neodimio in un arco di
tempo relativamente breve (qualche decina d’anni).
Dunque, la riduzione della
domanda delle risorse critiche passa attraverso un cambiamento culturale e sociale in cui l’attenzione non deve essere
più rivolta al bene posseduto ma al servizio
fornito all’utente o alla società. Ne sono un esempio i sistemi di mobilità condivisa che possono
avere un ruolo nel contenere la domanda di risorse critiche nei prossimi anni:
uno stesso veicolo, infatti, è in grado di servire più persone, riducendo
quindi la domanda individuale di risorse critiche.
In conclusione le problematiche attuali
e future associate a una chiusura dei flussi e a una circolarità
delle risorse nel settore automotive sono di tipo:
- Strutturale (es. polimeri)
- Alimentazione (es. litio, cobalto, grafite naturale)
- Composizione (es. terre rare, indio)
Il recupero e il
riciclo sono elementi fondamentali nell’approvvigionamento di risorse
critiche, ma purtroppo sono ancora a uno stadio iniziale. Ci sono grandi
opportunità per l’innovazione di sistemi che affrontano queste sfide,
ricordando che il settore automotive costituisce una riserva di queste risorse
critiche. Assicurarsene l’accesso diventa essenziale per poter raggiungere una mobilità e uno sviluppo sostenibili.