La filiera automotive italiana guarda con ottimismo il passaggio alla mobilità elettrica e vede in questa transizione la possibilità di incrementare il numero di posti di lavoro, cogliendo le opportunità di un mercato in continuo movimento. Troppo spesso, però, le aziende riscontrano ancora difficoltà a reperire le professionalità di cui avrebbero bisogno.
È quanto emerge dall’analisi presentata lo scorso 13 dicembre al ministero delle Imprese e del Made in Italy dall’Osservatorio TEA, l’osservatorio sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano guidato da CAMI (Center for Automotive & Mobility Innovation) del Dipartimento di Management dell’Università Ca' Foscari Venezia e CNR-IRCrES, nell’ambito dell’evento “Presente e futuro delle filiera automotive italiana”.
Manca personale qualificato
La nuova analisi, frutto dell’indagine condotta su un campione di 217 aziende, rappresentativo delle 2.152 imprese mappate dall’Osservatorio TEA, fa emergere come, a seconda dei ruoli dei dipendenti, dal 40 al 50% del campione denuncia grandi difficoltà nel reperimento delle professionalità richieste. A mancare sarebbero sia ruoli operativi sia specialistici e gestionali, ma anche tecnici specifici e di gestione del cambiamento e innovazione. A riscontrare queste difficoltà sono soprattutto le grandi imprese attive in Italia ma a controllo estero e quelle del Sud.
In questa trasformazione le stesse imprese della filiera manifestano una richiesta di supporto e guida da parte del Governo, attraverso misure come la defiscalizzazione delle assunzioni di personale giovane (il 65% degli intervistati lo ritiene importante o molto importante) ed esperto (64, 4%). Altra richiesta del 58% delle imprese sono i bonus per l’acquisizione di tecnologie e la riconversione produttiva, mentre il 54,6% pone l’accento sulle agevolazioni per la formazione dei lavoratori.
L’elettrico incrementerà l’occupazione
L’obiettivo dell’analisi è anche quello di valutare gli effetti della transizione energetica sulla filiera dell’auto nazionale, con un focus sui riflessi occupazionali. Il risultato è interessante: se ben cavalcata, la transizione può far bene all’occupazione. Infatti si riscontra una netta prevalenza della fiducia guardando al sentiment sugli effetti strettamente occupazionali della transizione, con la maggioranza assoluta delle aziende (il 55,5%) che prevede un impatto nullo sul numero dei propri dipendenti e quasi un’impresa su 3 (il 27,7%) che si dice convinta di poter aumentare i livelli occupazionali, proprio in virtù della trasformazione in atto, che vede nell’elettrificazione il suo elemento centrale. Scende invece al 16,8% la quota del campione che teme eventuali riflessi negativi.
Gli impiegati dell’industria automotive del futuro saranno di più ma diversi da quelli che conosciamo oggi, perché nasceranno altre opportunità legate alle nuove attività della filiera. Ad esempio nel mercato delle batterie, dove le gigafactory porteranno circa 4 mila posti di lavoro. Poi bisogna anche considerare altri settori, come la lavorazione dei materiali e il riciclo.
Buone prospettive per le aziende automotive
L’industria automotive sta affrontando un periodo di forte cambiamento, dovuto all’imminente necessità di passare a una mobilità più sostenibile. Gli investimenti in nuove tecnologie delle maggiori case automobilistiche sono la prova di questa spinta alla transizione: secondo le più recenti stime, si parla di 1.160 miliardi di euro di stanziamenti globali per l’elettrificazione entro il 2030. Degli investimenti che avranno una forte ricaduta anche sulla mobilità pubblica e la micromobilità. Tornando alla ricerca dell’Osservatorio TEA per la maggioranza delle aziende (il 48,4%) le trasformazioni dell’ecosistema automotive non avranno alcun effetto sul portafoglio prodotti e per il 30,9% avranno addirittura un impatto positivo, a fronte di un 20,7% che non esclude invece potenziali riflessi negativi.
Gli occupati del settore, tra il 1998 e il 2008, decennio di massimo sviluppo per le motorizzazioni endotermiche, sono crollati in particolare da 177.419 a 144.890, arrivando ad attestarsi nel 2018 a quota 140.804: il 21% in meno rispetto a 20 anni prima. Per un settore in crisi, la transizione ecologica, se adeguatamente accompagnata può rappresentare un‘opportunità per invertire questo trend.