Venerdì 17 novembre, il riscaldamento globale ha superato, anche se solo brevemente, una soglia che mai era stata oltrepassata prima: 2 gradi Celsius al di sopra dell’era preindustriale. Settembre è stato il mese più caldo mai registrato. L’Unep, l’agenzia dell’Onu per la protezione dell’ambiente, comunica che se si continuerà sulla strada intrapresa di un contrasto al riscaldamento molto blando o solo “di facciata”, entro il 2100 non solo la temperatura media sulla Terra supererà il limite stabilito dagli Accordi di Parigi dei 2 gradi, ma sfiorerà i 3.
È quanto emerge dall’edizione 2023 dell’annuale Emission Gap Report, il rapporto che fa il punto tra gli impegni presi nel taglio delle emissioni e le promesse effettivamente mantenute, pubblicato lo scorso 20 novembre. Vediamolo insieme.
I risultati
Gli obiettivi fissati nel 2015 con gli Accordi di Parigi prevedono di fermare il riscaldamento globale a 1,5 gradi o comunque di restare ampiamente al di sotto dei 2 gradi. Secondo il Rapporto è necessaria una riduzione delle emissioni più importante, pari al 40%, altrimenti le emissioni saranno di 22 miliardi di tonnellate superiori a quelle consentite dal limite di 1,5 gradi. “Il rapporto dimostra che il divario delle emissioni assomiglia di più a un canyon – ha dichiarato il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres –. Le emissioni di gas serra hanno toccato livelli mai visti prima, con un aumento dell’1,2% rispetto all’anno scorso, un fatto che conferma il 2023 come uno degli anni più caldi della storia”.
Le cose andranno invece in maniera diversa se le nazioni rispetteranno i rispettivi Ndc (National determined contribution) ovvero le politiche e le misure che i governi si sono impegnati ad attuare in risposta ai cambiamenti climatici, per raggiungere gli obiettivi globali stabiliti nell’accordo di Parigi e le emissioni nette intorno alla metà del secolo. In tal caso il riscaldamento potrebbe oscillare tra poco meno di due gradi e 2,5 gradi, a seconda di come gli Ndc verranno applicati nel concreto.
Si abbassano le aspettative
Anche l’Onu dà così per perduto il traguardo principale degli accordi di Parigi relativo al limite di riscaldamento a 1,5 gradi in più rispetto all’era preindustriale. Nonostante in tutte le ultime conferenze Onu sul clima dal 2015 in poi si fosse parlato di “keep 1,5 alive”, dopo l’analisi dell’Unep il meglio che si è potuto fare alla Cop28 che si è conclusa lo scorso 12 dicembre è stato “keep alive 2”. Ma per riuscire a raggiungere almeno questo piano B bisognerebbe tagliare le emissioni di gas serra del 28% entro il 2030. Invece, secondo il rapporto dell’Unep, le proiezioni ci dicono che le emissioni di gas serra potrebbero crescere del 16%. Una differenza di 44 punti percentuali: è questo l’emission gap sul quale governi e lobbisti delle fonti fossili si sono confrontati alla Conferenza sul clima di Dubai. Guterres ha espresso la sua preoccupazione per la situazione, definendo la differenza tra gli impegni degli Stati e ciò che sarebbe necessario per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi “un fallimento di leadership, un tradimento dei più vulnerabili e un’enorme occasione mancata”.
L’accordo della Cop28
La Cop28, tenutasi a Dubai e appena conclusa, ha deluso in parte le aspettative dopo che al primo giorno della conferenza i paesi più ricchi si erano impegnati a versare oltre 380 milioni di euro nel fondo per compensare i danni causati dal cambiamento climatico ai paesi più vulnerabili. Un’edizione molto criticata quella di quest’anno e con un forte scetticismo sui suoi esiti, per via dell’organizzazione negli Emirati Arabi, uno tra i principali paesi esportatori di petrolio.
Tuttavia è stato raggiunto un accordo importante sui nuovi impegni condivisi a livello internazionale per contrastare il cambiamento climatico, dopo che la prima versione del testo era stata criticata duramente perché considerata troppo incisiva. Il documento, per la prima volta dopo anni 28 anni di conferenze sul clima, parla di “allontanarsi gradualmente dall’uso dei combustibili fossili per la produzione di energia, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050”. Una formula molto più blanda rispetto a quella richiesta dagli attivisti ambientalisti e dal gruppo di Paesi più ambiziosi che volevano inserire il termine più incisivo “phase out” (eliminazione graduale). Si tratta, in ogni caso, di un inizio, per stimolare i Paesi a ridurre le emissioni di gas serra, investire in energie rinnovabili, migliorando l’efficienza energetica e diminuendo la dipendenza dai combustibili fossili.